Nel deserto del Sahara esiste un popolo che, pur essendo da secoli una nazione, non ha la sua terra e vive in esilio. Circa 250.000 persone che resistono fiere in parte nelle tendopoli del deserto algerino ed in parte nel proprio antico territorio oggi occupato dal Marocco: sono i saharawi.
La loro terra è quella dell’ex Sahara Occidentale spagnolo, 280.000 km quadrati, 1200 km di costa che si stende sull’Atlantico, e confina con Marocco, Algeria, Mauritania. Il popolo saharawi discende dall’incontro e dalla fusione, protrattasi per secoli, di gruppi nomadi berberi (tribù Sanhaya e tribù Zenata) con genti arabo-yemenite (i Maquil) giunti in Nord Africa intorno al XIII secolo. La lingua parlata è l’hassanya, un dialetto arabo. La religione è islamico-sunnita, con una concezione aperta, priva di fanatismi e intolleranze.
ll Sahara Occidentale è stato una colonia spagnola fino al 1975. Nell’ottobre dello stesso anno, con la morte di Franco ed il ritiro della Spagna, il Marocco da nord e la Mauritania da sud invadono illegalmente il territorio, non tenendo conto delle delibere dell’ONU e del parere consultivo del Tribunale Internazionale dell’Aja, entrambi contrari all’invasione da parte dell’esercito marocchino. Le molteplici violazioni dei Diritti Umani, nonché l’utilizzo di armi proibite (come il napalm e le bombe a frammentazione) obbligano la popolazione a fuggire verso l’Algeria, a Tindouf, dove per la sopravvivenza vengono organizzate, in un lembo di deserto roccioso, enormi tendopoli.
Si può datare l’inizio della guerra saharawi con la nascita del Fronte Polisario e l’attacco della piccola guarnigione spagnola a El-Khanga (maggio 1973) e la sospensione – visto che di fine non si può parlare – con il “cessate il fuoco” monitorato dalla MINURSO il 6 Settembre 1991. Nell’arco di questi 18 anni di guerra cambiano sia i nemici – per i primi due anni la Spagna, poi la Mauritania fino al 1979 e definitivamente il Marocco – sia le tecniche di attacco e difesa – guerra, guerriglia, muro.
Tra novembre e dicembre 1975 migliaia di saharawi fuggono verso il confine algerino. Nello spazio di pochissime ore, senza poter portare niente con sé, una parte della popolazione scappa in taxi, in jeep rubate agli spagnoli, in camion e addirittura a piedi. Nonostante il Fronte Polisario cerchi di organizzare una catena di punti logistici per salvaguardare le vite della popolazione sfollata, migliaia di loro muoio nel deserto di sete, di inedia e di logoramento. Coloro che poterono scapparono, gli altri, tra cui molti anziani e bambini, dovettero rimanere e affrontare violenze e rappresaglie. L’occupazione marocchina si è distinta e si distingue per le gravi violazioni dei diritti umani: divieto di manifestare, arresti arbitrari, torture, repimenti.
Il 27 febbraio del 1976 viene proclamata in esilio la RASD (Repubblica Araba Saharawi Democratica). Sarà riconosciuta da 74 Paesi. Nel 1982 la RASD viene ammessa come 51 Stato nell’OUA Organizzazione per l’Unità Africana.
Nonostante il cessate il fuoco e l’armistizio firmato dalle parti nel 1992, che prevedeva lo svolgimento di un libero referendum per l’autodeterminazione del Sahara Occidentale sotto l’egida dell’ONU – a tutt’oggi non ancora attuato – i rifugiati saharawi continuano a vivere nelle difficili condizioni imposte dall’aridità del terreno e dalla vita precaria nelle tendopoli. Sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari della cooperazione spagnola, algerina, francese, italiana e di altri paesi donatori.
Nella loro lotta per l’autodeterminazione, guidata dal Fronte Polisario, i saharawi hanno sempre rifiutato la scelta del terrorismo. Tutto questo ha attirato l’attenzione, l’ammirazione e la cooperazione di tutti quanti sono venuti a conoscenza della loro causa. Ciò nonostante, e in disprezzo delle risoluzioni ONU e OUA, il loro territorio è tuttora in mano del Marocco che durante gli anni degli scontri l’ha confinato, con la costruzione di un muro di oltre 2700 km cosparso di filo spinato e campi minati, ancora presidiato da migliaia di soldati marocchini. L’edificazione di questo muro è avvenuta dal 1980 al 1987 (in realtà sono una serie di muri che risultarono poi integrati in uno solo, il Muro di Sabbia, per i saharawi “Muro della Vergogna”).
Nel corso degli anni ‘80 all’offensiva bellica del Polisario si affiancò l’iniziativa diplomatica per il riconoscimento della Repubblica Araba Saharawi Democratica, sempre favorita dall’Algeria. La Missione delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un Referendum nel Sahara Occidentale (MINURSO), creato con la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 690 del 29 aprile 1991, sotto la cui egida si svolsero le trattative del processo di pace, fu incaricata di supervisionare la messa in atto di un referendum che doveva permettere ai saharawi di esprimersi liberamente sul futuro del Sahara Occidentale. A tutt’oggi il referendum non è stato ancora effettuato, né le trattative sembrano potersi sbloccare. Il Marocco fa ostruzionismo istituzionale, con continui ricorsi per il corpo elettorale e dichiarazioni provocatorie. Sul territorio occupato è stata attuata una vera e propria politica di colonizzazione: i marocchini che lavorano in uffici statali sono pagati l’85% in più dei loro omologhi in patria, esentati da imposte sul reddito, imposte di valore aggiunto e ricevono sussidi su beni di base e servizi.
Dal 1991 ad oggi sono 27 anni che il popolo Saharawi aspetta questo referendum. Nel frattempo il Marocco continua a occupare i territori del Sahara Occidentale, a sfruttare le risorse della regione, a commettere abusi e soprusi su una popolazione stanca ma non ancora rassegnata. Di là dal confine algerino migliaia di persone vivono da esuli in condizioni di vita critiche, aspettando che la comunità internazionale agisca per il cambiamento.